Mi hai insegnato i nomi dei colori strani:
vinaccio, carta di zucchero, rosa antico.
Inavvertitamente hai plasmato un’esteta
da un cucciolo timido e solitario.
Non lo sai nemmeno, hai interpretato il tuo ruolo
nel solo modo in cui potevi,
creando dei limiti inusuali,
spezzandone altri, invece normali.
Ho guardato le linee e le ombre fatte da te
su quelle porcellane dal sapore antico che
si sono insediate nella mia visione, come una lente
che invecchia e ingentilisce i volti che voglio assumere.
Sei stata spietata a volte,
le venature del tuo dolore si sono insediate
anche nelle mie tinte, facendomi disegnare
pensieri di malinconia.
Ora sbriciolo quella sostanza di cui mi hai fatta,
la rimpasto per darle una forma nuova.
Mi hai detto una bugia perché ti hanno insegnato così.
Invece guardami, capisci, non lo dovevi credere nemmeno tu.